Il 7 giugno 2018, nella storica “Trinkstube” della farmacia Zieglauer di Brunico, si è svolta la cerimonia di restituzione della parte più antica dell’archivio storico di Brunico dall’Archivio Provinciale di Bolzano. In questa occasione sono state esposte in una vetrina alcune cimelie, tra cui il pezzo più antico dell’archivio storico, un documento dell’anno 1319.
Dopo il benvenuto del sindaco Roland Griessmair, l’archivista comunale Andreas Oberhofer ha presentato la movimentata storia della città e dei suoi archivi. Il testo di questa conferenza è riprodotto qui:
Sabato prossimo, 9 giugno, si celebra la Giornata internazionale degli archivi. Essa commemora la fondazione del Consiglio Internazionale degli Archivi sotto gli auspici dell’Unesco nel 1948, ma l’occasione che ci ha riuniti qui oggi è un’altra: Stiamo celebrando il ritorno dell’archivio storico della città di Brunico. A tal fine, ci siamo riuniti in una stanza che potrebbe quasi essere interpretata come il coagulo della storia della città nel primo periodo moderno. I fondi più antichi dell’archivio comunale, trasportati a Brunico dall’Archivio Provinciale di Bolzano circa un mese fa, documentano il periodo compreso tra l’inizio del XIV secolo e la metà del XIX secolo, ovvero le epoche che hanno plasmato e definito la città. L’inizio della scrittura coincide grosso modo con l’espansione completata del nucleo medievale della città, che si preparava a diventare un centro di traffico, commercio e artigianato della Val Pusteria – sempre all’ombra del castello, che per secoli ha simboleggiato l’influenza e allo stesso tempo anche la protezione del principe vescovo di Bressanone sulla sua fondazione. Brunico era la città natale di Michael Pacher, il re Massimiliano era ospite così come l’arciduchessa Maria Teresa, la nobiltà si stabilì nella città alta e con i Cappuccini e le Orsoline si insediarono comunità monastiche che arricchirono la vita quotidiana della città. La vita pulsava nella cittadina sul Rienza e il trambusto poteva essere paragonabile, in alcuni momenti, all’odierno Ferragosto e ad altri eventi commerciali. In paese si sentivano chiocciare le galline, strillare i bambini e grugnire i maiali, le ruote dei carri e gli zoccoli tintinnare sull’acciottolato, i canti e il suono delle campane caratterizzavano l’acustica di un’epoca altrimenti relativamente tranquilla, in cui l’invenzione del motore a scoppio era ancora lontana. Ogni sera il guardiano notturno poneva fine al trambusto, le porte della città venivano chiuse e gli orari di chiusura delle locande, rigorosamente controllati, facevano il resto, cosicché alla fine tornava il silenzio e si sentiva solo il mormorio del Rienza fino al canto dei galli del mattino e al suono delle campane per la messa mattutina.
L’archivio storico riflette tutto questo e molto di più: leggendo le vecchie carte e le pergamene, il mondo del Medioevo e della prima età moderna rivive, e non da ultimo il mondo e la vita quotidiana delle persone che si sono fatte immortalare qui, in questa stanza di questa casa nel terzo quartiere della città, con i loro stemmi e i loro motti strani. “Ein Schbarz kue gibt wys[s] milch” (Una mucca nera dà latte bianco) ha dipinto l’artista sul muro in un punto, “AMOR EST VERBVM PASSIVVM” in un altro. Quindi, anche se crediamo di poter capire le persone che vivevano allora, di poterci avvicinare a loro studiando la loro storia, ci sono sempre cose che non capiamo, perché il divario temporale di diversi secoli è troppo grande. Non possiamo dare un senso a molte cose, come ammette indirettamente Jakob Jöchl nel suo motto: “Jch hab kain Reim”. Immaginiamo come era, come avrebbe potuto essere, eppure questo mondo è lontano da noi come un pianeta alieno in cui non potremo mai entrare. Ma l’archivio, come questa stanza, offre la possibilità di essere almeno molto vicini a ciò che chiamiamo “allora”. Non è una nozione vaga, è autentico, concreto e reale, è costituito da fogli di carta e pergamene su cui sono incisi nomi e date che lasciano pochi dubbi, se si è in grado di interpretarli. Aspettano di essere esplorati, elaborati, ed è proprio per questo che il Comune ha cercato di riportarli a Brunico dopo circa 80 anni, innanzitutto per metterli a disposizione dei brunicensi affinché possano studiarli e riconoscerne la storicità e la storia.
Brunico è una città medievale, fondata dal vescovo come baluardo, come fortezza, ma proprio come città e contro-modello del vicino comune rurale (Markt) di San Lorenzo, a cui non fu mai permesso di diventare città. La concezione medievale è già evidente nel sistema difensivo interconnesso di mura cittadine, torri di difesa e castello, ma anche nelle cantine in pietra sotto le file di case della Via Centrale, nelle fontane, nelle chiese, nel vecchio ospedale, la cui fondazione risale al XIV o addirittura al XIII secolo. La stretta Via Centrale, l’unica delle città altoatesine senza portici, era il percorso di gran parte del traffico tra le città commerciali della Germania meridionale e quelle dell’Adriatico. Qui, molti carrettieri imprecavano quando dovevano scaricare le loro merci nella Ballplatz della città bassa, presentarle per l’ispezione e caricarle di nuovo. Un rituale che si ripeteva in molti altri luoghi lungo il suo percorso, alternato al pagamento dei dazi doganali. A Brunico l’economia era in fermento, il mercato di San Lorenzo (Lorenzimarkt) era un appuntamento fisso nel corso dell’anno, che attirava in città anche persone dai dintorni, dove potevano liberare i loro sudati risparmi. L’industria mineraria della Valle Aurina fece la sua parte per portare l’internazionalità in Val Pusteria. Minatori, amministratori e operai non specializzati, che a volte potevano essere anche luterani, arrivavano a Predoi anche dal nord della Germania e dai Paesi Bassi per tentare la fortuna direttamente in montagna, o per lavorare nella Kraffterische Messinghütte di Stegona, una manifattura che a volte impiegava fino a 80 uomini. Sappiamo tutto questo perché è stato scritto, perché è entrato a far parte dell’archivio. Se non fosse stato scritto, sarebbe stato dimenticato da tempo. Un archivio è la memoria della città, della valle, della regione, del Paese.
Percorrendo la Stadtgasse dalla “Trinkstube”, ci si trova di fronte a due antichi municipi, da cui proviene la maggior parte delle scritte. Il primo è stato il tribunale e il municipio fino al 1564, il secondo è stato il municipio fino al 1799 e al 1802 rispettivamente. Nelle immediate vicinanze della Amtshaus del capitano vescovile e della Amtshaus del monastero di Novacella venivano registrate le decisioni, lette le petizioni, pronunciate le sentenze e concessi i diritti civili. Si può ipotizzare che alcuni consiglieri attraversassero la strada nella nostra direzione dopo le riunioni del consiglio per bere uno o due bicchieri con altri funzionari del tribunale e del comune, con il clero, con i custodi delle scuole o con la gente comune nella locanda sul Lucken, che confinava con la porta di San Floriano a circa dieci metri da qui. L’uno o l’altro trovava posto anche in questo salotto, dove un’élite di borghesi di città, nobili urbani e rurali si riuniva per svuotare non solo singoli boccali, ma a volte anche intere botti, come lo stemma di Jörg Grinbald o Grünwald ci mostra in modo piuttosto vivido.
In questa stanza troviamo l’istantanea di un gruppo di uomini che si sono immortalati nel 1526 o più tardi per esprimere unità e unione. Si percepisce la presenza proprio di quelle persone al servizio della città, del principe vescovo di Bressanone o del sovrano che producevano materiale scritto, quello stesso materiale scritto che veniva conservato con cura in locali d’archivio – siano essi cantine, volte, soffitte o stanze appositamente costruite a prova di fuoco – e che grazie a questa cura si è conservato e talvolta offre una visione della storia della città di Brunico di ben 700 anni fa. Per loro era importante che tutto fosse in ordine, che ogni cassetto contenesse i documenti giusti, che le inondazioni e gli incendi non potessero danneggiare l’archivio, accumulato nel corso di decenni e secoli, che topi, vermi e altre creature, che a volte si nutrono anche di pergamena e carta, avessero meno possibilità di mangiare l’archivio. Hanno dato importanza al fatto che il materiale scritto dovesse essere anche bello, che un design accattivante dovesse esprimere il suo valore e la sua unicità.
Così come i personaggi citati in questa sala volevano essere immortalati pittoricamente, essi attribuivano importanza anche al fatto di lasciare un segno nella parola e nella scrittura e di non essere dimenticati. Nei verbali del concilio del 1530–1535, lo scriba lasciò l’umile frase: “Spero dum spiro. Mea spes est unica Christus. Cui me conmendo, dedico, subjicio”. La presenza stessa di questo principio guida e dello scriba che fa la sua comparsa parla della nuova immagine umana sicura di sé dell’umanesimo. Nei suoi manoscritti scritti all’inizio del XIX secolo, Johann Tinkhauser attribuiva sempre la gloria e la lode a Dio (“Laus Deo Semper”), ma non dimenticava di lodare anche i propri risultati e di iscriversi, per così dire, nella memoria collettiva della città. Non solo si fece immortalare in un libro dei verbali del consiglio comunale: Letto nel gennaio 1823. Johann Tinkhauser attualmente sindaco. “Vergis mein nit” (non dimenticarmi) era il motto di Hanns von Rost, “Vive memor nostri” indica probabilmente le tre lettere “V.M.N.”, che Jochum Kraus aveva dipinto sopra il suo stemma nella “Trinkstube”. È una paura primordiale dell’uomo quella di sprofondare nella massa ed essere dimenticato.
Un altro parallelo tra questa sala da bere ed il mondo della scrittura è sorprendente: Così come il gruppo che apparentemente si riuniva qui era piccolo ed elitario, così come la stanza è piccola ma raffinata, era anche un gruppo piccolo e raffinato ad avere una parte nella parola scritta fino a ben oltre il XIX secolo. L’istruzione, anche se Brunico aveva una scuola di tedesco e latino, era un bene elitario, limitato alla nobiltà e al clero e sempre più anche alla borghesia. Bürger e Ingehäusen, artigiani poveri e vagabondi, ma anche il gran numero di contadini che lavoravano nell’agricoltura, i servi e le serve non avevano accesso alla scrittura, come invece accadeva in questo salotto. Tuttavia, gli archivi cittadini forniscono informazioni anche su di loro. Pur non sapendo scrivere, si scriveva su di loro, soprattutto quando si trattava di trarre profitto dal loro lavoro e dalle loro prestazioni economiche, di riscuotere tasse e altri tributi o di obbligarli a prestare servizio in guerra. In questo senso, l’archivio offre un grande valore aggiunto rispetto a un programma di immagini elitarie come quello che troviamo qui: a differenza della “Trinkstube”, che rifletteva solo una classe alta che esibiva con orgoglio i propri stemmi e voleva distinguersi socialmente verso il basso e forse spazialmente verso l’esterno – verso la Via Centrale – attraverso l’esclusività della propria cerchia, l’archivio riflette anche gli altrimenti senza voce e spesso anche senza nome, che magari sedevano per terra nella via a chiedere l’elemosina.
L’archivio comunale di Brunico – insieme all’intera amministrazione – è stato spostato più volte; fino ad oggi si sono succeduti ben sette municipi della città, che sono stati utilizzati a volte per più tempo, a volte per meno tempo. Dalla casa Strehle o Meusburger, la cancelleria e l’anagrafe furono trasferite nella casa Waibl o Harrasser, poi nella casa Schönhuber, quindi nell’ex residenza ufficiale del monastero di Novacella, oggi sede dell’università. Abbiamo girato intorno alla nostra “Trinkstube”, all’interno del nucleo medievale della città. Le persone interessate avevano accesso agli scritti della città per studiarli, almeno a partire dal XIX secolo. Johann Tinkhauser, come già detto, leggeva i verbali del consiglio comunale e di conseguenza si faceva immortalare nei libri, la cui rilegatura risale forse a un suo suggerimento. Anche lo storico e giurista locale di Brunico Paul Tschurtschenthaler (1874–1941) lavorò intensamente all’archivio cittadino. Ai suoi tempi, l’archivio si trovava sul Graben (sui Bastioni) che in epoca moderna è stato trasformato in passeggiata, prima nell’attuale scuola media “Karl Meusburger”, poi, a partire dal 1933, nell’edificio che oggi non esiste più, costruito originariamente come cassa di risparmio, demolito nel 1966 e oggi sostituito dalla Banca di Trento e Bolzano. Entrambi gli edifici, così come l’ex tribunale distrettuale con il relativo Tschumpus, la prigione distrettuale, anch’essa demolita, emanavano un’aria di Gründerzeit imperial-regia viennese, ma anche di burocrazia.
La divisione dell’ archivio storico in due parti è stata una grave rottura iniziata con la fondazione dell’Archivio di Stato di Bolzano nel 1921 come sezione dell’Archivio di Stato di Trento. Nel 1930 la sezione di Bolzano fu elevata al rango di Archivio di Stato autonomo, con sede a Castel Mareccio. Nell’agosto del 1940, la parte più antica dell’archivio comunale di Brunico fu trasferita al capoluogo. La divisione relativamente arbitraria del patrimonio archivistico – come sospetta Christine Roilo – fu probabilmente fatta con l’intenzione di lasciare in loco la parte più “recente” dei documenti, o almeno i gruppi di documenti creati nella seconda metà del XIX secolo, e di incorporare una parte “storica” nel patrimonio dell’Archivio di Stato.
Durante il periodo dell’amministrazione civile tedesca – la cosiddetta Operationszone Alpenvorland – dopo l’8 settembre 1943, il patrimonio dell’Archivio di Stato di Bolzano fu distribuito in varie località dell’Alto Adige, per cui i fascicoli di Brunico furono portati a Castel Brunico, effettivamente disimballati dalle casse di trasporto nel castello e collocati su scaffali portati dall’Archivio di Stato. Dopo la fine della guerra, tuttavia, gli archivi, che avevano avuto un breve assaggio di casa, furono riportati a Bolzano insieme agli scaffali. Nel 1972 l’Archivio di Stato fu chiuso, dal 1973 al 1974 il patrimonio fu trasferito in un magazzino e solo nel 1986 fu possibile occupare il nuovo edificio in via Armando Diaz, che da allora ospita la Biblioteca Provinciale, l’Archivio Provinciale e l’Archivio di Stato di Bolzano. L’Archivio storico di Brunico è stato trasferito dall’Archivio di Stato all’Archivio provinciale nel 1986 in base alla legge statale n. 118 dell’11 marzo 1972, dove era stato conservato come deposito.
Il viaggio è proseguito anche per la parte dell’archivio storico rimasta a Brunico, prima nel vecchio municipio attualmente sventrato nell’ex Hotel Europa e da lì nell’edificio della vecchia sala dei vigili del fuoco in Via Galileo Galilei, dove lo storico brunicense Hubert Stemberger (1921–2002), il cui patrimonio è oggi una parte importante dell’archivio storico, ha potuto lavorare con i fascicoli comunali nel sottotetto. L’archivio è stato poi trasferito nel seminterrato della polizia municipale, in Via Lampi n. 2. La penultima stazione fu un deposito nel secondo piano interrato del nuovo municipio, inaugurato nel 2004 e dove l’archivio di deposito si trova ancora oggi. Nel 2013, l’archivio storico, cioè la parte che si trovava ancora a Brunico, è stato trasferito nel nuovo edificio “LibriKa”, dove è stato allestito un deposito separato con un ufficio dell’archivista.
Lo scorso maggio 2018, anche la seconda parte dell’archivio, che in realtà è la prima in termini cronologici, è stata riunita al patrimonio più recente. L’archivio è quindi nuovamente completo e risale al lontano 1319 con un documento esposto in vetrina. Esso conferma che Ulreich il Luesnaer e altri canonici della collegiata di Unserfrau (Nostra Signora) a Bressanone prestano un campo a Gesa di Sabiona. Il documento in realtà non ha nulla a che fare con Brunico, ma si inserisce bene nella tradizione della nostra città, di cui non si conosce con precisione l’anno di fondazione e la cui prima menzione, nel 1256, non si trova nell’cittadino ma in quello dell’abbazia di Wilten. La pergamena è piccola e poco appariscente, il sigillo è andato perduto. Il dorso del documento presenta una combinazione di lettere e numeri del XVII secolo, il che ci parla della sua conservazione originaria in un cassetto, che a sua volta faceva parte di un mobile d’archivio che probabilmente è andato perduto – forse bruciato, venduto, regalato o convertito. Ma forse è ancora assopito in una cantina o in una soffitta, in attesa di essere riscoperto – sarebbe una sensazione. Sappiamo che i padri della città di Brunico pensavano all’archivio già nel 1539. I verbali del consiglio comunale forniscono informazioni su un registro di “brieflichen gerechtigkaiten” (privilegi e atti) che era stato istituito qualche anno prima; i documenti erano stati messi in “trüchlein” (piccole cassapanche) nella Neukirche (l’attuale chiesa delle Orsoline). Emil von Ottenthal era ancora in grado di affermare, intorno al 1900: “Namentlich die Acten sind ganz wahllos theils in den mit Laden versehenen, theils in den mit Schubthüren versehenen Schrank vertheilt.” Quindi anche a quell’epoca c’era ancora almeno un armadio in legno.
La parte antica dell’archivio comunale comprende anche la serie dei verbali del consiglio, di cui il volume più antico sopravvissuto documenta gli anni dal 1530 al 1535. La prima delibera registrata è la decisione del consiglio comunale di chiedere la conferma della libertà della città di acquistare formaggio, lardo, grano e altri generi alimentari a Tures – per secoli, i punti più importanti all’ordine del giorno riguardavano principalmente la sussistenza, l’approvvigionamento di cibo, cioè i bisogni primari che dovevano essere soddisfatti dalla politica.
La pagina qui riportata, tratta dal sesto volume, mostra invece una voce che fornisce informazioni sulla retribuzione del “Deutschschulhalter”, cioè l’insegnante della scuola tedesca, e allo stesso tempo su un sistema scolastico nel 1572: “von ain Schuelkind so das ABC lernndt, jede Quatember 18 kr”. Di un bambino che impara a scrivere l’ABC 20 Kreuzer; di un bambino che scrive una lettera 24 Kreuzer; di un bambino che impara a fare l’aritmetica di base 40 Kreuzer. L’obiettivo di questa educazione scolastica, che insegnava a leggere, scrivere e le basi dell’aritmetica, era quello di entrare nella classe mercantile.
Nel volume del 1854 è incluso un disegno a colori che mostra la pianta del cantiere di Karl Neuhauser dietro il castello, che si trovava dove oggi c’è un parcheggio. Si tratta di una delle fonti pittoriche relativamente rare nell’archivio.
Il patrimonio comprende anche le petizioni al consiglio comunale, che riguardano l’intero XVII e XVIII secolo e rendono udibile la voce della gente comune, che chiedeva un sostegno finanziario o di altro tipo. Eva, Agnese e Barbara, la vedova Stifler e le sue figlie, nel dicembre 1710 ringraziano per i favori e le buone azioni che solo il cielo poteva ripagare. La vedova era anziana e fatiscente, tutte e tre non avevano un reddito e quindi chiedevano un po’ di denaro per l’acquisto di legna e il pagamento dell’affitto dell’ostello. Il produttore di pettini Simon Galtenstainer si trovava, come scrisse su carta uno scriba, in un “Ellend betriebten standt” e nel marzo 1710 chiese un sostegno per il freddo d’inverno a causa dell’età, della povertà e del declino della vista, per cui non poteva più lavorare. La vedova e le figlie ricevettero due fiorini, al “Khamplmacher” fu assegnata mezza staia di grano e mezza staia di segale. Quest’ultimo – come possiamo supporre – non aveva proprietà a Brunico, né aveva diritti di cittadinanza; era un abitante o un residente, forse un artigiano itinerante. L’ufficio anagrafe con i suoi registri degli stranieri è – come l’assistenza sociale statale – un’istituzione di epoca molto più tarda.
L’archivio storico offre anche una visione dei conti della città, delle sue confraternite, della chiesa parrocchiale, dell’ospedale cittadino, e ci invita a fare un giro virtuale del mercato di San Lorenzo in uno degli anni tra il 1546 e il 1798 – impariamo chi offriva le proprie merci, quando, in che misura e forse anche a quali prezzi. L’archivio della famiglia Tinkhauser si affianca alle “Merkwürdigkeiten” di Brunico dal 1723 al 1743 dell’impiegato e cronista cittadino Johann Josef von Tschusy (1665–1744), che documentò la visita dell’arciduchessa Maria Teresa a Brunico nel 1738 insieme al marito, alla corte, al personale, alla cucina e alla cantina. Per una notte, la nobiltà e i cittadini sgomberarono tutte le stanze adatte ad ospitare il visitatore reale e il suo seguito.
Infine, l’archivio contiene 18 fascicoli in cui sono riunite le cosiddette “miscellanee”, documenti che attraversano le epoche e l’orto tematico, ancora poco conosciuti e tanto meno studiati.
Con la restituzione dell’archivio storico, si è avverato un desiderio a lungo coltivato dal Comune di Brunico, dal suo comitato consultivo storico (Historischer Beirat) e da molti brunicensi. Gli sforzi per riportare il patrimonio antico risalgono a prima dell’inizio del nuovo millennio e ci sono sempre stati cittadini impegnati che hanno sostenuto la riunificazione e la ricostruzione dell’archivio storico comunale. Dal 16 maggio 2018 – data che rimarrà nella storia della città – l’intero archivio storico è ora disponibile per un esame approfondito della storia della città o del comune o della Pusteria centrale in loco. Con la creazione dell’infrastruttura necessaria e di un posto di archivista, il Comune ha soddisfatto le condizioni necessarie e, grazie alla disponibilità e all’impegno dell’Archivio Provinciale di Bolzano, il grande obiettivo è stato raggiunto.
Tuttavia, il ritorno dell’archivio storico a Brunico non deve essere visto come la fine, ma piuttosto come l’inizio, come una pietra miliare nel percorso che stiamo celebrando qui oggi. Per dirla con il principio guida della ricerca umanistica, che in realtà viene citato fin troppo spesso: “Ad fontes”, Alle fonti!. Anche loro, le fonti, sono disponibili nell’archivio storico, così come sono nella “Trinkstube”, in attesa di essere scoperte.
Riferimenti:
- Philipp Egger, Die Trinkstube in Bruneck im Haus der Apotheke von Zieglauer. Ein Kulturbild aus dem frühen 16. Jahrhundert, Bruneck 1998.
- Bruneck, in: Emil von Ottenthal / Oswald Redlich, Archiv-Berichte aus Tirol, III. Band, Wien/Leipzig 1903, pp. 190–224.
- Christine Roilo, Das Brunecker Stadtarchiv und seine Bestände, in: Stefan Lechner (ed.), Der lange Weg in die Moderne. Geschichte der Stadt Bruneck 1800–2006, Innsbruck 2006, pp. 395–420.